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Mini Intervista a Carlo Vincenzi

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Il curriculum vitae di Carlo Vicenzi comprende attività come magia nera, necromanzia e comunione con orrori cosmici. Se vivesse in un mondo fantasy, sarebbe di certo il Signore Oscuro che gli eroi devono sconfiggere. Ma, purtroppo per lui, vive in Emilia Romagna e quindi si limita a scrivere di altri mondi, invece di conquistarli.

Carlo ha una passione in particolare: creare storie in cui i protagonisti evolvono dall’essere piccoli e spaventati all’essere gli eroi di cui c’è bisogno, superando mille ostacoli. Perché tutti siamo stati bambini impauriti, almeno una volta nella vita, e tutti abbiamo bisogno di diventare gli eroi di noi stessi.

Sui social parla di libri e si batte perché alla letteratura Fantasy e Fantascientifica venga riconosciuto il rispetto che merita.



Inizierei in maniera decisamente differente rispetto al mio solito, il libro ha una dedica di un romanticismo estremo e mi ha portata a voler iniziare questa intervista parlando del concetto di "musa", di quanto sia importante per autori e autrici avere al proprio fianco una persona che sia non per forza ispirazione ma pilastro.

Scrivere (ma qualunque forma d’arte, in realtà) significa mettere un pezzo della propria anima in piazza, perché tutti la possano vedere. È un po’ come camminare nudi per strada esposti allo sguardo e al giudizio di tutti. Un conto è farlo da soli, un altro è farlo con qualcuno che ti tiene la mano e ti sostiene.

Io in passato non sono stato altrettanto fortunato e ho avuto pessime esperienze prima di incontrare Volpe, ma posso dire che la sua presenza è fondamentale. Non solo per il genere di sostegno di cui ho parlato prima, ma perché è la prima persona a leggere quel che scrivo e vedere il suo sguardo stupito, gioioso, triste o esaltato mentre scorre le pagine è spesso il motore che mi spinge a fare sempre meglio.


Non posso esimermi dal discutere con te di un'altra questione molto interessante e con numerose sfaccettature Qual è secondo te il ruolo della narrativa fantasy oggi? Sta cambiando qualcosa nel modo in cui viene percepita?

La narrativa fantastica è sempre stata di importanza capitale. È sempre stata uno strumento e una lente attraverso la quale comprendere il mondo, non parlo solo di favole e fiabe per educare i bambini, ma anche per gli adulti. Fantasy e SF sono uno strumento attraverso cui le idee possono circolare, che siano di critica sociale, che siano domande filosofiche ed etiche. Ci sono romanzi fantasy in libreria che pongono al lettore interrogativi che non sono meno profondi e importanti di quelli posti da autori russi dell’800. Ma da Dostoevskij ce lo si aspetta, mentre da Brandon Sanderson no. Il Signore degli Anelli stesso è una lunga riflessione sulla caducità dell’esistenza, sugli orrori della guerra e sul pericolo dell’industrializzazione e del capitalismo incontrollati. Il pubblico sta cominciando a rendersi conto di questo ma lo snobismo letterario, nato paradossalmente da una profonda ignoranza riguardo il genere, è ancora piuttosto diffuso. Purtroppo.



"Dammi un Fiume di Sangue" di cui abbiamo parlato in pagina non è il tuo unico libro, ti va di presentarci "Padrona del Vento"? Per chi non lo conoscesse anticipo che si tratta di una serie di racconti ad episodi. Un progetto molto interessante e a tratti anacronistico, giacché non è più solito leggere a puntate, sembra ci sia sempre più ansia di avere subito il dopo delle storie. Sarà anche per questo che le saghe paiono essere passate di moda?

Oddio, in realtà la lettura a puntate è ancora diffusissima su piattaforme come Wattpad e AO3. Certo, si tratta di scrittura amatoriale ma è comunque seguitissima e molto importate. Le saghe non sono affatto passate di moda, anzi purtroppo sempre più spesso si vedono libri annacquati per renderli trilogie, oppure serie di libri che non hanno granché da dire oltre il primo.

Con Padrona del Vento ho voluto fare un esperimento per sapere come avrebbe risposto il pubblico a una pubblicazione del genere. Sono stato molto contento, del risultato ottenuto e c’è perfino un gruppo di persone che si trova tutti i sabati in live per leggere ad alta voce i capitoli. La trovo una cosa davvero lusinghiera.



Ma nel tuo curricula troviamo anche steampunk, horror e... romance! Mi piacerebbe parlare anche del resto dei tuoi figli di carta.

Parliamo di opere scritte ormai più di dieci anni fa… quando le rileggo mi trovo sempre a essere il peggior critico di me stesso, ma poi mi rendo conto che sono stati passaggi necessari alla crescita. Il mio primo libro pubblicato, “Ultima, i giochi della contrada” è uno steampunk che gioca con il Palio, una tradizione che c’è in moltissime città italiane, Siena è di certo la più famosa, portandola in un contesto di retro-futurimo. Anche la città dove vivo ha una tradizione simile e ho partecipato per più di vent’anni. Mi hanno detto “scrivi di ciò che ami” e io all’epoca li presi in parola.

Nyctophobia nasce dal mio amore per le storie post-apocalittiche e per il buio. Una sera stavo guardando una brutta serie tv fantasy (la Spada della Verità) e in una puntata se ne uscivano con la solita profezia de “il mondo sarà avvolto dalle tenebre!”. Poi procedevano a mostrare questo oscuro futuro, il problema era che queste “tenebre” erano solo una specie di luce verdognola sulle immagini, tipo un brutto filtro instagram. A quel punto ho cominciato a chiedermi come sarebbe dovuto essere davvero un mondo completamente calato nell’oscurità. E così è nata l’idea base di Nyctophobia.


Tornando al volume che ho letto in collaborazione con Gainsworth, quando e come nasce l'idea di DUFDS

Nasce nel corso di taaaaanti anni. Io sono cresciuto a pane, anime, manga e romanzi fantasy. Da piccolo guardavo, su italia 7, quei “cartoni” super violenti come “Ken il Guerriero”. Lo facevo di nascosto perché mia madre me lo aveva vietato. Poi sono cresciuto ed è arriava Mtv Anime Night, il martedì, e via dicendo. Ho sempre voluto scrivere una storia che catturasse le emozioni che quelle storie mi avevano fatto vivere, ma non mi sentivo bravo a sufficienza per metterle su carta. Quindi ho aspettato, studiato, scritto altro, aspettato ancora. Quando è arrivato il 2020 con il lockdown e tutta questa “apocalisse slow burn” in cui siamo ancora calati, mi sono detto: «Non sarò mai bravo quanto vorrei essere. Adesso o mai più» e mi sono messo all’opera.



DUFDS è un dark fantasy che si ricorda di esserlo, non solo per il finale che è la mazzata perfetta. Come e perché credi he questo genere si sia discostato così tanto dalle proprie origini? Oramai tutto quello che è fantasy con tinte violente ci rientra, anche se con happy ending.

Credo che sia un misto di fattori: finali tragici non sono nelle corde di tutti, il grande pubblico spesso non apprezza. Credo che l’appellativo “Dark” sia affascinante, sia un’etichetta che fornisce un’aria “interessante” a un libro e quindi molti romanzi la usano. Dalla parte opposta, però, abbiamo anche autori che vogliono risultare sempre più dark, sempre più grim, sempre più grimdark truce e finiscono per scadere nell’esagerazione che porta al ridicolo. A mio parere non è la quantità di sangue, budella e sesso che rendono una storia “Dark”. Ma è altro.



Quanto influisce il tuo vissuto personale sulla scrittura? C’è qualcosa di “tuo” che finisce spesso nei tuoi personaggi o ambientazioni?

È inevitabile che parte di chi scrive passi per osmosi sulla pagina. Come ho detto prima fare arte significa mettere in bella mostra un pezzo della propria anima. Quanto c’è di me nei personaggi? Dipende dal personaggio, ma spesso cerco di distanziarmi più che posso dal mio “Io” altrimenti verrebbero tutti uguali o troppo simili a me. E nessuno vuole avere a che fare con una squadra di Carlo. Già uno è fin troppo da sopportare.


Quale parte del rapporto con i lettori preferisci? C'è stato uno scambio che ti ha particolarmente colpito? (non per forza positivo, anche una critica che magari ti ha portato a compiere un evoluzione che non avevi ancora contemplato)

Io adoro che nel 2025 ci sia questo rapporto così diretto tra autori e lettori. Adoro il poter vedere le loro reazioni, a volte anche a caldo, di quello che scrivo.

Ci sono stati due episodi che mi hanno colpito molto: il primo è stato anni fa, una lettrice di Nyctophobia mi ha confessato di essere davvero affetta dalla fobia del buio e che il romanzo l’ha aiutata a vedere il buio non più come qualcosa di minaccioso, ma come una coperta in cui avvolgersi. 

Il secondo è stato poco dopo l’uscita di DUFDS: una ragazza mi ha scritto un lungo messaggio in cui mi ha raccontato che alcuni episodi all’interno del libro sono stati per lei particolarmente toccanti, poiché anche lei era stata vittima di violenza domestica quando era bambina, come i due protagonisti. Ha detto che ha apprezzato molto il modo in cui ho rappresentato la cosa e i segni che lascia sulle persone.

Ogni tanto ripenso a questi due episodi e sorrido perché è questo che, a mio parere, dovrebbe essere la scrittura.


Avrei altre mille domande ma, le chiamiamo mini interviste per un motivo preciso e si concludono tutte nello stesso modo: qual è il tuo libro preferito?

Non ho un libro preferito. Non riesco a sceglierne uno. Ci sono così tante opere straordinarie per tanti motivi differenti… come fare a elevarne una sopra le altre? Posso dirti, però, quale sarebbe, a mio avviso e a livello tecnico-oggettivo, il fantasy migliore che io abbia mai letto: “Guards! Guards!” di sir Terry Pratchett.



Per restare sempre aggiornati su Carlo potete trovare qui tutti i link utili, dai collegamenti ai suoi profili ai sentieri per raggiungere i suoi libri!



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