Recenqualcosa di "Emerett non conosce l'amore" di Anyta Sunday
- Naia Sterne

- 29 ago
- Tempo di lettura: 3 min

Self-publishing
Vol 1 di 6 (Love Austen)
Pagine: 255
Leggere Emerett non conosce l’amore è un po’ come sedersi a guardare quella persona adorabile che riesce a farti ridere anche nelle giornate peggiori… salvo poi ritrovarti, dopo mezz’ora, a scuoterla per le spalle urlando disperato: “Ti prego, collega due neuroni, anche per una sola volta!”. Emerett (Lake per gli amici) è l’incarnazione vivente del meme too oblivious to function: un giovane pieno di entusiasmo, con il cuore grande quanto una casa, ma dotato della capacità di comprendere i sentimenti altrui – e soprattutto i propri – pari a quella di una patata, ammuffita. La sua missione preferita? Fare da cupido improvvisato, convinto di essere un esperto delle dinamiche amorose, quando in realtà non è in grado nemmeno di riconoscere i segnali più evidenti. Un amorevole disastro ambulante, che conquista proprio per la sua genuina inconsapevolezza.
E mentre Lake colleziona gaffe e malintesi con la naturalezza di chi respira, dall’altra parte c’è Knight: l’uomo che meriterebbe una medaglia al valore ogni singolo giorno, solo per la pazienza con cui lo sopporta. Knight è la roccia silenziosa, l’eroe in ombra che osserva con un mezzo sorriso quel ciclone di impulsività che gli gira intorno. Potrebbe scappare a gambe levate, e invece resta. Per senso civico? Per un istinto suicida? O forse – ed è qui che il lettore trattiene il fiato – perché sotto sotto lo ama davvero? La sua figura si staglia come contrappunto perfetto: maturo, calmo, capace di ponderare, eppure disposto a farsi travolgere dall’irruenza di Lake. C’è un dettaglio non da poco: Knight è anche il padre del migliore amico di Lake, e da anni nasconde un sentimento che non ha mai avuto il coraggio di confessare, aspettando un momento giusto che forse non arriverà mai.
Il romanzo prende avvio subito dopo il matrimonio del migliore amico (e figlio di Knight). Lake, che dopo la morte dei genitori ha praticamente adottato la casa di quella famiglia come rifugio permanente e non sembra avere la minima intenzione di cambiare abitudini. Anche ora che il suo amico ha messo su famiglia altrove, lui rimane, con la disinvoltura di chi non si pone neppure il problema. Knight lo osserva seduto, pronto a trasformare in caos anche la più banale delle giornate, e sorride. Perché in fondo non potrebbe davvero rinunciare alla sua presenza, nonostante il continuo trambusto emotivo che comporta.
"Il posto dove vive con Amy non come questo. Lì mi sento un terzo incomodo."
"È una valutazione accurata." Una pausa. "Eri il terzo incomodo anche qui."
Il cuore della storia è proprio l’alchimia tra i due protagonisti: Knight, il porto sicuro, e Lake, l’uragano. Il loro rapporto funziona per contrasto: uno è pacato, razionale, capace di aspettare; l’altro vive di istinto, inventandosi teorie astruse sull’amore che puntualmente crollano alla prova della realtà. Ed è in questo divario che si genera la scintilla. Una coppia apparentemente impossibile, eppure irresistibilmente credibile agli occhi del lettore.
Certo, non tutto scorre liscio come l’olio: la narrazione a volte si inceppa. Le troppe comparse rischiano di affollare inutilmente la scena, e qualche subplot può lasciare più di un sopracciglio alzato. Sono momenti che fanno sospirare, o scappare un “facepalm”, ma che non annullano l’atmosfera zuccherina e leggermente farsesca che caratterizza il libro. Perché alla fine è questo che conta: il tono da commedia romantica, quella che sai già come finirà, e che proprio per questo ti consola e ti avvolge come una coperta calda.
"Provocando? Ah! Guarda che Paul non è qui perché tu possa dimostrargli qualcosa."
"Tu sei qui." Knight gli piegò un dito sotto il mento e Lake incontrò il suo sguardo intenso. "Il migliore amico di mio fgilio."
Il bello di Emerett non conosce l’amore è che non pretende di essere ciò che non è. Non cerca profondità psicologiche da manuale o riscritture radicali dei cliché romantici. È una storia che vive di leggerezza, di battute che strappano un sorriso, di imbarazzi teneri che diventano la linfa vitale del racconto. La lentezza con cui la catastrofe annunciata si trasforma, poco a poco, in lieto fine è parte del divertimento: ci si gode ogni inciampo, ogni equivoco, ogni sguardo mancato, fino all’inevitabile conclusione che il lettore attende con la stessa paziente impazienza di Knight.
In sintesi: se vi piacciono i protagonisti ostinatamente ciechi davanti all’ovvio, i padri degli amici che sembrano sfidare le leggi del tempo e dell’età, e le storie che mescolano dolcezza e caos in dosi uguali, allora questo libro è il vostro picnic al sole. Non è un banchetto letterario sontuoso, ma una merenda spensierata che sazia l’umore e alleggerisce la giornata. Qui l’obiettivo non è stupire, ma far sorridere. E in questo riesce perfettamente.

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